Tantissime le sostanze chimiche presenti nel pesce italiano: i risultati dell’ultimo report preoccupano gli esperti.
Non tutti gli alimenti che arrivano sulle tavole italiane fanno bene alla salute. Non si tratta, però, di una distinzione sulla base di cibi salutari e non. Si tratta di alimenti che possono essere dannosi per l’organismo a causa di pesticidi e agenti chimici. Un esempio è rappresentato dal pesce, che secondo l’ultimo report non è mai stato così contaminato.
A rendere nota la preoccupante situazione è un report di Greenpeace che rivela la contaminazione da PFAS del pesce italiano. Le analisi mostrano livelli allarmanti di PFOS in diverse specie ittiche pescate in Toscana, Calabria e Friuli-Venezia Giulia, livelli che in alcuni casi superano anche le soglie di tolleranza stabilite dalle autorità sanitarie europee.
Sul sito web di Greanpeace vengono riportati i report e le indagini condotte dall’unità investigativa che «indaga sui crimini ambientali, sui conflitti di interesse e su tutte le scelte politiche e industriali che ci stanno portando verso il disastro climatico». L’ultima indagine condotta pone l’attenzione sulla contaminazione da PFAS nel pesce. I PFAS sono composti poli e perfluoroalchilici, sostanze chimiche di sintesi altamente persistenti e bioaccumulative molto utilizzate dall’industria per la loro capacità idro e oleorepellente. Queste sostanze tendono ad accumularsi nell’ambiente contaminando la catena alimentare.
L’indagine intitolata “Pescato al sapore di PFAS. Quando il pericolo viene dal mare” analizza i livelli di PFAS nel pesce pescato nelle acque toscane del Santuario dei Cetacei. La maggior parte dei pesci analizzati sono cefali (come Liza aurata, Liza ramada e Chelon labrosus), pesci perchia (Serranus cabrilla), sciarrano (Serranus scriba), donzella (Coris julis) e salpa (Sarpa salpa). Il documento si basa su analisi dell’ARPAT (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana) che, tra ottobre 2018 e novembre 2023, ha monitorato la presenza di PFAS nei pesci toscani, prelevati in zone costiere e foci fluviali.
Nelle specie marine oggetto di indagine, sono stati rilevati significativi livelli di PFOS (Acido Perfluorottansolfonico) soprattutto nei cefali. Questi pesci vivono infatti nelle foci dei fiumi, dove l’accumulo di inquinanti è maggiore. Alcuni esemplari hanno presentato una concentrazione allarmante di 14,7 microgrammi dannosi per l’essere umano. I livelli di PFAS per chilogrammo hanno raggiunto un preoccupante record di contaminazione che supera la soglia settimanale tollerabile per il consumo umano, stabilita dall’EFSA in 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo.
I mammiferi marini, predatori all’apice della catena alimentare, rappresentano indicatori chiave della qualità ambientale. Nel Mediterraneo la contaminazione da PFAS risulta particolarmente preoccupante tra i cetacei, con concentrazioni di PFOS fino a 400 µg/kg nel fegato di delfini dell’Adriatico e fino a 80 µg/kg nei muscoli di alcuni cetacei del Tirreno settentrionale.
Nel report di Greenpeace si trovano anche le analisi realizzate dalle ARPA di Calabria e Friuli-Venezia Giulia. I livelli di PFOS registrati dall’ARPA Calabria tra il 2021 e il 2023 nei punti di osservazione confermano la presenza di PFOS in specie di interesse commerciale. A Sibari, Roccella Jonica, Crotone, Lamezia Terme e Nicotera la triglia di fango (Mullus barbatus) e il nasello (Merluccius merluccius), oltre ai crostacei come la canocchia (Squilla mantis) hanno livelli di sostanze inquinanti che destano preoccupazione.
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